giovedì 22 dicembre 2011

Camogli



Il borgo di Camogli ha origini preistoriche, lo testimonia un insediamento, individuate durante le campagne di scavo succedutesi dal 1969 al 1977 nei pressi del Castellaro lungo il rio Gentile, strutturato su terrazzamenti artificiali dove sono visibili almeno due capanne rispettivamente datate, in base al materiale ceramico, al XVI e XIII secolo a.C. Nella stessa zona sono stati ritrovati reperti romani del II secolo a.C.
Già sotto il dominio dei vescovi di Milano, intorno all'anno 1000, cominciò a formarsi la "Camogli costiera e marinara" con citazioni nei testi dell'epoca dove compare con il nome di Vila Camuli; ed è dal Medioevo in poi che compare maggiormente nella storia genovese. Nel XII secolo fu eretto il castello della Dragonara, posto a difesa del borgo marinaro, che verrà assalito e distrutto da Gian Galeazzo Visconti e Nicolò Fieschi1366 e successivamente anche dal Ducato di Milano nel 1438. Dal XVI secolo si unirà più strettamente a Genova e alla sua repubblica, specie per le continue scorrerie dell'ammiraglio turco Dragut, che provvederà alla sue fortificazioni e al consolidamento del porticciolo, quest'ultimo completato nel 1624 con la costruzione del molo. nel
Come i territori della repubblica genovese anche Camogli fu interessata dalla dominazione francese di Napoleone Bonaparte dal 1797 che inserirà il borgo marinaro, 2 dicembre, nel Dipartimento del Golfo del Tigullio, con capoluogo Rapallo, all'interno della Repubblica Ligure annessa al Primo Impero francese. Dal 28 aprile del 1798 con i nuovi ordinamenti francesi, fu elevata al titolo di capoluogo del II Cantone della Giurisdizione della Frutta. Proprio in questo periodo storico la disfatta navale della battaglia navale di Abukir, nella quale la flotta ligure guidata da Napoleone viene annientata dalla marineria inglese, porterà all'investimento di massicci capitali degli armatori camogliesi nella costruzione di velieri mercantili, con richieste e appalti dai maggiori stati europei. Gli affari dei cantieri navali e nel più vario settore marinaro favoriranno un considerevole aumento dell'economia e degli scambi commerciali, con il conseguente sviluppo urbanistico del borgo, che in questa fase raggiungerà il suo massimo storico. Dal 1803 fu uno dei centri principali del VI Cantone della Frutta, nella Giurisdizione del Centro, che ebbe per capoluogo la vicina Recco. Dal 13 giugno1805 al 1814 verrà inserito nel Dipartimento di Genova.
Con la caduta di Napoleone, nel 1814, verrà inglobato nel Regno di Sardegna, così come stabilirà il Congresso di Vienna del 1815 anche per gli altri comuni della repubblica ligure, e successivamente nel Regno d'Italia dal 1861. Dal 1859 al 1926 il territorio fu compreso nel VI° mandamento di Recco del Circondario di Genova della Provincia di Genova.
Già nel 1856 la sua flotta è composta da 580 imbarcazioni iscritte alla Mutua Assicurazione Marittima Camogliese, fondata nel 1852 dal locale Nicolò Schiaffino, unica al mondo e composta da un armamento doppio di quello del compartimento marittimo di Amburgo, la quale resterà attiva fino al 1888. Con l'avvento della navigazione a vapore le attività tradizionali marinare camogliesi vengono, nel tempo, sostitutive al turismo.

Castello della Dragonara
Secondo alcune fonti storiche inerenti per lo più la cittadina camogliese si è potuto datare approssimativamente alla prima metà del XIII secolo la probabile edificazione del maniero. Ancora oggi infatti non esistono fonti certe sulla reale data di costruzione poiché quelle conosciute sono per la maggior parte frammentarie o incomplete.
L'originario castello, forse di minore dimensione rispetto all'attuale versione, fu usato quasi subito come ottimo centro avvistamento e di difesa sia del borgo che del tratto di mare antistante la scogliera sulla quale il maniero fu eretto. Oltre al sistema difensivo, la struttura veniva utilizzata dagli abitanti di Camogli - camoglini - come ritrovo per eleggere i loro rappresentanti nell'attività amministrativa - giudiziaria, nonché come luogo di rifugio in caso di improvvisi assalti via mare dai numerosi pirati.
Secondo un documento datato alla seconda metà del XIV secolo il castello, proprio per garantire sufficientemente la sicurezza del borgo marinaro, venne più volte rinforzato ricevendo dal Senato della Repubblica di Genova le armi necessarie per la difesa. Proprio in questo secolo vengono ben documentati gli assalti e le distruzioni dapprima da Gian Galeazzo Visconti e in seguito da Nicolò Fieschi nel 1366.
Tra il 1428 e il 1430 il castello fu notevolmente ampliato e rinforzato dagli abitanti, specie l'attigua torre di avvistamento, interventi necessari a seguito dei precedenti assalti e dai continui contrasti tra la comunità camoglina e la stessa repubblica genovese dominata dai duchi di Milano.
Saranno proprio i partigiani del Ducato che nel 1438 assediarono il maniero, smantellando di fatto l'intero perimetro; pochi anni dopo gli stessi abitanti del borgo marinaro riedificarono nuove mura dall'originale accollandosi interamente le spese di edificazione che ammontarono, secondo un documento dell'epoca, a 450 lire genovesi.
Dieci anni dopo dall'assalto milanese - nel 1448 - i contrasti tra Camogli, la vicina Recco e Genova si fecero sempre più tesi e aspri tanto che la Repubblica ne chiese la distruzione immediata del castello. Fu pertanto distrutto come da accordo, ma solamente sei anni dopo fu nuovamente ricostruito dagli abitanti camogliesi e consegnato direttamente al doge della repubblica che ne assunse il controllo.
Nel 1461 motivi legati alla sicurezza portarono alla decisione di una nuova distruzione, decisione che venne annullata per manovre politiche tra Genova e Camogli e che scongiurarono la certa demolizione. Nel XVI secolo abbandonato come postazione difensiva fu infine adibito a prigione.
Nel corso degli anni settanta del XX secolo, dopo decenni di abbandono, l'immobile venne recuperato e dedicato ad ospitare l'acquario tirrenico, gestito dall'Azienda Autonoma di Soggiorno. Vennero create vasche con acqua marina ospitanti esemplari della fauna marina tipica delle acque camogline: in pratica, un antesignano del moderno Acquario di Genova.
Il custode era anche colui che procacciava i pesci, i crostacei ed i molluschi che popolavano le vasche. Un grande esemplare di cernia era l'attrattiva principale, con murene, aragoste e paguri.
Alla chiusura dell'acquario i pesci e crostacei presenti sono stati trasferiti all'acquario di Genova.

Basilica di S.Maria Assunta

La chiesa parrocchiale fu costruita, secondo fonti storiche locali, nel XII secolo su uno scoglio - isola nelle immediate vicinanze del porticciolo del borgo marinaro. La struttura ha subito nel corso degli anni diversi interventi ed ampliamenti, specie nel XVI secolo e nei primi decenni del XIX secolo, modificandone quasi in parte l'originaria struttura religiosa. Nel 1970 sono state poste nelle tre nicchie della facciata, quella rivolta verso la piazza principale, le statue dei Santi Prospero e Fortunato e della Madonna del Boschetto.
L'edificio fu consacrato nel 1826 dall'arcivescovo di Genova monsignor Luigi Lambruschini e ancora nel 1847Placido Maria Tadini. da monsignor

mercoledì 21 dicembre 2011

"...nel blu dipinto di blu..."


Penso che un sogno cosi` non ritorni mai piu`,
mi dipingevo le mani e la faccia di blu
Poi d'improvviso venivo dal vento rapito,
e incominciavo a volare nel cielo infinito

Volare, oh oh,
cantare, oh oh oh oh
Nel blu dipinto di blu,
felice di stare lassu`

E volavo volavo felice
piu` in alto del sole ed ancora piu` su
mentre il mondo pian piano spariva
lontano laggiu`
Una musica dolce suonava soltanto per me

Volare, oh oh
cantare, oh oh oh oh
Nel blu dipinto di blu
felice di stare lassu`

Ma tutti i sogni nell'alba svaniscon perche`
quando tramonta la luna li porta con se`
Ma io continuo a sognare negli occhi tuoi belli
che sono blu come un cielo trapunto di stelle

Volare, oh oh
cantare, oh oh oh oh
Nel blu degli occhi tuoi blu
felice di stare quaggiu`

E continuo a volare felice
piu` in alto del sole ed ancora piu` su
mentre il mondo pian piano scompare
negli occhi tuoi blu
La tua voce e` una musica dolce che suona per me
Volare, oh oh
cantare, oh oh oh oh
Nel blu degli occhi tuoi blu
felice di stare quaggiu`
Nel blu degli occhi tuoi blu
felice di stare quaggiu`

mercoledì 14 dicembre 2011

"Creuza de' mà"

San Rocco di Camogli
Umbre de muri muri de mainé
dunde ne vegnì duve l'è ch'ané
da 'n scitu duve a l'ûn-a a se mustra nûa
e a neutte a n'à puntou u cutellu ä gua
e a muntä l'àse gh'é restou Diu
u Diàu l'é in çë e u s'è gh'è faetu u nìu
ne sciurtìmmu da u mä pe sciugà e osse da u Dria
e a funtan-a di cumbi 'nta cä de pria
E 'nt'a cä de pria chi ghe saià
int'à cä du Dria che u nu l'è mainà
gente de Lûgan facce da mandillä
qui che du luassu preferiscian l'ä
figge de famiggia udù de bun
che ti peu ammiàle senza u gundun

E a 'ste panse veue cose ghe daià
cose da beive, cose da mangiä
frittûa de pigneu giancu de Purtufin
çervelle de bae 'nt'u meximu vin
lasagne da fiddià ai quattru tucchi
paciûgu in aegruduse de lévre de cuppi

E 'nt'a barca du vin ghe naveghiemu 'nsc'i scheuggi
emigranti du rìe cu'i cioi 'nt'i euggi
finché u matin crescià da puéilu rechéugge
frè di ganeuffeni e dè figge
bacan d'a corda marsa d'aegua e de sä
che a ne liga e a ne porta 'nte 'na creuza de mä

( F. De Andrè )

martedì 13 dicembre 2011

Il Castello di Voltaggio




Nella preistoria, quella che diverrà la valle del Lemme era lambita dalle acque marine,  in quanto non era ancora stata originata pianura padana. A tutt’oggi, infatti, nel vicino paese di Carrosio, lungo la strada per sottovalle non è difficile trovare fossili di origine marina mediante facili scavi nei terreni, le cui formazioni geologiche, sono simili a quelle che si trovano anche nel territorio di Voltaggio.
Non è improbabile che già in età arcaica la zona fosse abitata da pastori e agricoltori appartenenti a tribù liguri con probabili ascendenze celtiche. Anni or sono un archeologo itinerante indicava il cumulo di pietre a forma di barca che si trova nell’omonima località come il tumulo pre-romano di un qualche capo o notabile.
Tuttavia nell'alta e media Val Lemme non sono stati rilevati reperti che diano certezze circa insediamenti romani benché si ritenga comunemente che l’antichissima strada perduta di Pian del Reste che congiungeva la Gallia Italica e nella fattispecie la zona di Libarna (Serravalle Scrivia) raggiungesse Genova già noto centro marinaro.
Alcuni storici indicano Voltaggio nel Veliturium o Octavium del mondo latino e identificano la fonte sulfurea ancora esistente con l'"acqua octavienses" già nota in epoca romana.
Il primo documento certo in cui viene menzionato Voltaggio risale al 1006, quando Giovanni, vescovo di Genova, nel trasferire la cattedrale da S.Siro a S.Lorenzo, attribuisce ai monaci di S.Siro il godimento di numerosi beni tra cui "...decimas ...in Gaui. In Carosio. In Uultablo". 
Il nome del paese risulta variamente modificato nel corso del tempo: "Vultabium" o "Vultacium" (da volte, magazzini per le merci o perchè "voltato" cioè mutato nella forma ?) e ancora "Ottaggio" che pare trarre origine dal suffisso indoeuropeo "tag" (rifugio, capanna di frasche). Poco probabile il collegamento con la sua funzione di punto doganale di riscossione dei pedaggi ("u tagio).
Villaggio compreso nella Marca Obertenga, passò agli eredi di Oberto, i Malaspina. Nelle guerre tra i Malaspina e Genova alla fine del XII secolo i primi dovettero rinunciare a questo feudo, che passo alla proprietà divisa tra il potere temporale dei vescovi di Tortona, i marchesi di Gavi e la Repubblica di Genova. Oggetto di contesa tra Ducato di Milano, Marchesato del Monferrato e Repubblica di Genova, cambiò più volte proprietario, finché non passò definitivamente alla Repubblica, che ne aveva cominciato a governare i territori a partire dalla fine del XII secolo. Voltaggio era infatti indispensabile alla Repubblica Genovese come punto di passaggio del tratto della antica via Postumia che superava i Gioghi Appenninici evitando i Feudi Imperiali. Tale percorso viario posseduto da Genova attraversava pertanto Fiaccone (oggi Fraconalto), Voltaggio, Gavi, arrivando infine a Novi
Nel 1121 i Genovesi acquistarono dal Marchese di Gavi per la somma di 40 lire il Castello di Voltaggio posto sulla vetta dell'altura che che domina la confluenza fra il Rio Morsone il Rio Carbonasca ed il Lemme. Dalla prima investitura di Oberto Porco e Bonifacio Della Volta (1127) appartenente alla potente famiglia genovese che annoverava fra i suoi componenti dogi e consoli, fra i quali Ingo Della Volta (successivamente mutato in De Volta ed ancora per decreto imperiale in Cattaneo a seguito di concessione di tale importante carica) imparentato con gli Spinola, i De Castro, Cafaro di Rustico, che controllavano il commercio oltremare della Repubblica di Genova.
Voltaggio fino al XVI secolo venne governato da "Castellani" o "Podestà" affiancati da "Consoli". I primi due venivano designati da Genova, esercitavano la giustizia ed erano responsabili della difesa del paese; i "consoli"(il primo fu Guglielmo De Volta e forse proprio da questo cognome deriverà poi il nome del paese) invece erano scelti fra le persone più eminenti del borgo e si occupavano delle decisioni di carattere locale coadiuvati dall'assemblea dei capi famiglia che si riuniva nella chiesa parrocchiale.


A causa della sua posizione strategica lungo l'unica via di comunicazione che collegava l'interno con Genova, Voltaggio fu spesso oggetto di contesa. Il 9 aprile 1625 subì l'incendio ad opera dei francesi alleati dei Savoia di Carlo Emanuele I contro la Repubblica di Genova. In seguito a ciò oltre a saccheggi e devastazioni subì la distruzione dell'archivio parrocchiale ed il paese, fino ad allora racchiuso fra le mura del castello, quando venne ricostruito assunse l'attuale forma allungata parallela al corso del Lemme.
Altre distruzioni si ebbero nel 1747 quando austriaci e franco-spagnoli si contendevano la via della Bocchetta per Genova.
La sua posizione di confine ha fatto si che abbia seguito la sorte dei vari occupanti. Nel 1798 fu incluso nel territorio della Repubblica Ligure per poi passare all'Impero Napoleonico (1805) e quindi al Regno di Sardegna (1815). Aggregato nel 1831 all'effimera provincia di Novi, quando il ministro Urbano Rattazzi istituì la Provincia di Alessandria fu anch'esso inglobato nella nuova realtà amministrativa.

Verso il 15 ottobre 1816 a seguito dell’annessione al Regno Sardo, è storicamente accertato che i Reali Carabinieri giunsero in Voltaggio insediandosi nella ex caserma della Gendarmeria e costituendo così la Stazione che da quasi duecento anni tutela la sicurezza della zona. A testimonianza dei legami con la Liguria, la Stazione dipendeva dalla Luogotenenza di Campomorone, facente parte del Ducato di Genova.
Nei secoli, Voltaggio diede i natali a personaggi illustri come San Giovanni Battista de'Rossi Patrono del Paese,  Il Venerabile Sacerdote Niccolò Olivieri, la Beata Maria Repetto i quali testimoniano la religiosità della popolazione, ad artisti come Sinibaldo Scorza che fu tra l'altro pittore di corte dei Savoia del quale alcune opere sono a tutt'oggi custodite nella pinacoteca dei Frati Cappuccini unitamente a numerosi altri pezzi prestigiosi del 1500-1600, Bernardo e Giovanni Battista Carrosio pittori e cartografi.
Nonostante l’inserimento nella Provincia di Alessandria, il legame con Genova che caratterizza Voltaggio, continua ad essere forte sia per l’appartenenza culturale dell’idioma locale ai dialetti liguri, sia per la massiccia migrazione verso il centro maggiore da parte della popolazione, sia per l’affermazione dei Voltaggini in decine di attività imprenditoriali e commerciali nel capoluogo ligure. Tale appartenenza è stata ufficialmente riconosciuta nel 2005 attraverso il conferimento a Voltaggio del titolo di Comune Onorario della Provincia di Genova.



In questa foto troviamo il ponte "romano" o dei "pagani" che sorge nei pressi della confluenza del torrente Lemme con i rii Morsone e Carbonasca, sull'antica via di accesso al borgo, dove probabilmente venivano riscossi i dazi. La sua costruzione è databile fra la fine del XIII e gli inizi del XIV secolo

(fonti e per saperne di più: Pro Loco Voltaggio ; Comune di Voltaggio )

mercoledì 7 dicembre 2011

Rosa......


La rosa, della famiglia delle Rosaceae, è un genere che comprende circa 150 specie, numerose varietà con infiniti ibridi e cultivar, originarie dell'Europa e dell'Asia, di altezza variabile da 20 cm a diversi metri, comprende specie cespugliose, sarmentose, rampicanti, striscianti, arbusti e alberelli a fiore grande o piccolo, a mazzetti, pannocchie o solitari, semplici o doppi, frutti ad achenio contenuti in un falso frutto (cinorrodo); le specie spontanee in Italia sono oltre 30, di cui ricordiamo la R. canina (la più comune), la R. gallica (poco comune nelle brughiere e luoghi sassosi), la R. glauca (frequente sulle Alpi), la R. pendulina (comune sulle Alpi e l'Appennino settentrionale) e la R. sempervirens.
Il nome, secondo alcuni, deriverebbe dalla parola sanscrita vrad o vrod, che significa flessibile. Secondo altri, invece, il nome deriverebbe dalla parola celtica rhood o rhuud, che significa rosso.[1]

Già nell'antichità la coltivazione della rosa era diffusissima, sia come piante ornamentali che per le proprietà officinali ed aromatiche con l'estrazione degli oli essenziali.
Sono state le specie spontanee che hanno fornito nel passato le prime varietà coltivate; come la R. canina arbusto con fiori semplici di colore rosa-pallido e steli ricoperti di spine uncinate; e la R. gallica di piccole dimensioni con rami poco spinosi, con fiori semplici color rosa-intenso, che diedero origine a forme dal fiore doppio, non rifiorenti.
Alla fine del 1700, fu introdotta in Europa la R. semperflorens nota come Rosa del Bengala dai fiori piccoli e riuniti in mazzetti, rifiorente, con varietà a fiore semplice o semi-doppio di vari colori.
All'inizio del 1800 fu introdotta in Europa la R. indica var. fragrans nota col nome di Rosa Tea originaria della Cina e nota anche come R. chinensis dai fiori doppi e rifiorenti.
Dagli incroci tra R. gallica e R. indica var. fragrans si ottennero nel 1840 gli ibridi rifiorenti, che sostituirono rapidamente le varietà fino ad allora coltivate, con fiori grandi, pieni, rami lunghi e forti con grosse spine, rustiche, alcune varietà di questo gruppo vengono ancora oggi coltivate, mentre le varietà meno rustiche poco resistenti al freddo, con chioma troppo fitta e steli deboli non in grado di sopportare il peso dei fiori, della R. indica fragrans furono presto abbandonate.
Le varietà di R. indica incrociate con gli 'ibridi rifiorenti' diedero vita a nuove varietà inserite nel gruppo degli Ibridi di Tea, piante molto fiorifere rispetto agli 'ibridi rifiorenti', e più rustiche della 'rosa tea', con un portamento intermedio tra le specie d'origine; ancora oggi vengono coltivate alcune varietà di questo gruppo, dai fiori molto colorati con o senza profumo.
Sempre nei primi anni dell'Ottocento, da un incrocio occasionale tra R. indica e R. gallica ebbe origine la R. borbonica, oggi praticamente scomparsa, pianta vigorosa, rustica, con rami poco spinosi, fiori grandi a forma appiattita, con petali più corti al centro.
Nel 1900 un floricoltore di Lione (tale Pernet Ducher) ottenne, incrociando gli 'ibridi rifiorenti' con la R. lutea, specie spontanea del medio-oriente, arbusto dai fiori semplici di colore giallo, che sbocciano a giugno, coltivato da secoli nel mediterraneo, un ibrido che riuniva le caratteristiche delle specie originarie, con rami rifiorenti, lunghi e vigorosi, molto spinosi, foglie lucenti e dentate, fiori non molto grandi, doppi, di colore variabile tra il giallo e l'arancio, incrociando questi ibridi di R. lutea con gli 'ibridi tea', si ottenne un gruppo di rose denominate Ibridi di Lutea o R. pernetiana, ancora oggi coltivati.
Non è certa invece l'origine delle Rose Polyantha cespugliose e di modesto sviluppo, con fioritura durante tutto il periodo vegetativo, probabilmente frutto di un incrocio occasionale tra la R. multiflora una specie sarmentosa non rifiorente, originaria di Cina e Giappone, e gli 'ibridi tea'. Le rose polyantha hanno goduto di una notevole diffusione nei giardini per aiuole e bordi, grazie all'abbondante e continua fioritura.
Le varietà di 'rose sarmentose' derivate dalla R. multiflora hanno mantenuto il carattere non rifiorente della specie originaria, sono piante forti, decorative, con abbondante fioritura, fiori piccoli, doppi, riuniti in mazzetti che ricoprono totalmente i rami, particolarmente sensibili all'oidio.
Molto simili sono gli ibridi originati dalla R. wichuraiana originaria dell'estremo oriente, che si distinguono per il fogliame più liscio e brillante.
Dall'incrocio di questi ibridi con varietà a fiori grandi, si sono ottenuti 'ibridi sarmentosi' a fiori grandi, talvolta profumati, rifiorenti o meno, poco rustici, derivano dalle specie che hanno dato origine alle rose cespugliose a fiori grandi, cioè la R. indica fragrans, la R. lutea, la R. semperflorens, la R. gallica etc., da alcune varietà di 'rose cespugliose' sono state selezionate 'rose sarmentose' con fiore simile all'originale, che vengono chiamate Rose Climbing.
Sempre tra le 'rose sarmentose' citiamo quelle ottenute da Filippe Noisette all'inizio del 1800 incrociando la R. muschata e la R. indica fragrans chiamate Rose Noisette, sono piante vigorose, rifiorenti, sufficientemente rustiche, con fiori profumati di medie dimensioni, spesso riuniti in vistosi mazzi.
Da ultimo citiamo due specie originarie di Cina e Giappone: la R. banksiae , sarmentosa, adatta alle zone con clima temperato, in quanto resiste poco al gelo, ha lunghi rami ricurvi, ricoperti in primavera da piccoli fiori profumati riuniti in mazzetti; e la R. rugosa, caratterizzata da fusti con moltissime spine lunghe e sottili, piante vigorose, a foglie composte da molte foglioline di colore verde brillante superiormente, grigiastre sulla pagina inferiore, i fiori semplici, semidoppi e doppi, a seconda della varietà, molto profumati..
Le numerosissime cultivar oggi in commercio sono state ottenute da complesse e spesso segrete operazioni di poli-ibridazione che ne rendono difficile la classificazione anche dal punto di vista florovivaistico.





Come pianta ornamentale nei giardini, per macchie di colore, bordure, alberelli, le sarmentose o rampicanti per ricoprire pergolati, tralicci o recinzioni, le specie nane dalle tinte brillanti e con fioriture prolungate per la coltivazione in vaso sui terrazzi o nei giardini rocciosi.

Industrialmente si coltivano le varietà a fusti eretti e fiori grandi, per la produzione del fiore reciso, che occupa in Italia circa 800 ettari, localizzati per oltre la metà in Liguria, il resto in Toscana, Campania e Puglia.
I petali vengono utilizzati per le proprietà medicinali, per l'estrazione dell'essenza di Rosa e degli aromi utilizzati in profumeria, nell'industria essenziera, nella cosmetica, pasticceria e liquoristica. È una delle basi immancabili più utilizzate in profumeria.
Come pianta medicinale si utilizzano oltre ai petali con proprietà astringenti, anche le foglie come antidiarroico, i frutti ricchi di vitamina C diuretici, sedativi, astringenti e vermifughi, i semi per l'azione antielmintica, e perfino le galle prodotte dagli insetti del genere Cynips ricche di tannini per le proprietà diuretiche e sudorifere.
In aromaterapia vengono attribuite all'olio di rosa proprietà afrodisiache, sedative, antidepressive, antidolorifiche, antisettiche, toniche del cuore, dello stomaco, del fegato, regolatrici del ciclo mestruale.[2]
Le giovani foglie delle rose spontanee servono per la preparazione di un tè di rosa
Si adatta a qualunque tipo di terreno purché lavorato in profondità, ben concimato con stallatico maturo. Le piante vengono collocate a dimora in autunno o alla fine dell'inverno nelle zone con forti geli, la concimazione si effettua all'inizio della ripresa vegetativa, incorporando nel terreno letame maturo.
La potatura delle piante è importantissima per una buona fioritura.
Le varietà rifiorenti non destinate alla forzatura, si potano alla fine dell'inverno o inizio primavera, togliendo i rami vecchi e accorciando quelli nuovi lasciando da 2 a 6 gemme per ramo a seconda del vigore e varietà, generalmente le potature energiche favoriscono la fioritura ad esclusione delle varietà molto vigorose per cui vale la regola contraria.
Nelle specie rifiorenti si eliminano man mano i rametti che hanno già fiorito per stimolare la produzione di nuovi fiori.
Le rose Polyantha vanno potate a fine inverno, dopo la prima fioritura di maggio e nelle fioriture successive fino all'autunno.
Le 'rose sarmentose' non rifiorenti, come gli ibridi di R. wichuraiana che hanno forti cacciate, lunghe anche alcuni metri, richiedono l'eliminazione dei rami di 3 anni, la curvatura delle cacciate di 1 anno, che fioriranno nell'anno successivo.
Le 'rose rampicanti' rifiorenti, vanno potate in base al vigore vegetativo, asportando i rami vecchi (legno vecchio) e raccorciando i rami nuovi.
La moltiplicazione avviene di norma per talea di getti dell'anno già lignificati e piantati in cassone a fine estate, o per innesto ad occhio vegetante in primavera estate.
Nelle coltivazioni industriali con le varietà coltivate per il fiore reciso, viene praticato l'innesto su soggetto R. indica var. major che fornisce al nesto il giusto vigore.
Per avere piante resistenti alla siccità o al gelo si utilizza come soggetto la R. canina ottenuta con la semina, ottenendo però oggetti poco vigorosi e a scarso sviluppo.

(font: Wikipedia)

martedì 6 dicembre 2011

Il Bosco delle Fate di Fontanigorda



Fontanigorda è situata sul versante sinistro della valle percorsa dal torrente Pescia, affluente destro del fiume Trebbia nella valle omonima. Il territorio comunale è costituito, oltre il capoluogo, dalle dodici frazioni[5] di Barcaggio, Borzine, Canale, Casone di Canale, Casoni, Cerreta, Due Ponti, Mezzoni, Reisoni, Vallescura, Villanova e Volpaie per un totale di 16,64 chilometri quadrati. Confina a nord con il comune di Rovegno, a sud con Rezzoaglio, ad ovest con Fascia e Montebruno e ad est con Rovegno e Rezzoaglio.
Tradizionale località di villeggiatura per gli abitanti di Genova, da cui dista circa 52 km.
Deriva il suo nome[6] dall'abbondanza di acqua nel territorio, testimoniata tutt'oggi dalla presenza di tredici fontane agli angoli delle strade.
Fin dall'epoca longobarda il territorio appartenne all'abbazia di San Colombano di Bobbio fondata da San Colombano nel 614.
Dall'XI secolo divenne dominio della famiglia Malaspina, la prima testimonianza scritta dell'esistenza del comune risale al 1180, e in seguito feudo dei conti di Lavagna i Fieschi. Divenuto in possesso dei genovesi Doria divenne a far parte della Repubblica di Genova dal XIII secolo.
Il passaggio nella repubblica genovese favorì lo sviluppo del paese, grazie soprattutto ai numerosi privilegi concessi da Genova e che a partire dal XVIII secolo lo eresse come comune autonomo.
Nel 1797 con la dominazione francese di Napoleone Bonaparte rientrerà dal 2 dicembre nel Dipartimento dei Monti Liguri Orientali, con capoluogo Ottone, all'interno della Repubblica Ligure annessa al Primo Impero francese. Dal 28 aprile del 1798 con i nuovi ordinamenti francesi, Fontanigorda rientrerà nel VII Cantone, capoluogo Montebruno, della Giurisdizione dei Monti Liguri Orientali e dal 1803 centro principale del III Cantone dell'Appennino nella Giurisdizione dell'Entella. Dal 13 giugno 1805 al 1814 verrà inserito nel Dipartimento di Genova.
Nel 1815 verrà inglobato nel Regno di Sardegna, secondo le decisioni del Congresso di Vienna del 1814, e successivamente nel Regno d'Italia dal 1861. Dal 1859 al 1926 il territorio fu compreso nel II° mandamento del Circondario di Bobbio della Provincia di Pavia.
Successivamente il Decreto Reale n° 1726 datato 8 luglio 1923, firmato dal re Vittorio Emanuele III di Savoia, stabilirà il passaggio definitivo nella provincia di Genova.
Dal 1973 al 31 dicembre 2008 ha fatto parte della Comunità Montana Alta Val Trebbia e con le nuove disposizioni della Legge Regionale n° 24 del 4 luglio 2008[7], in vigore dal 1º gennaio 2009, ha fatto parte della Comunità Montana delle Alte Valli Trebbia e Bisagno, quest'ultima soppressa con la Legge Regionale n° 23 del 29 dicembre 2010[8] e in vigore dal 1º maggio 2011[9].


(font: Wikipedia)

Un bianco e nero naturale....

                                                                

Nevica

La cosa più bella della neve?
Il silenzio che l'accompagna nella caduta.
Un silenzio non imposto,
che dovrebbe essere la norma
e invece è l'eccezione,
tanto da gridare alla "calamità naturale".
Forse non è la neve,
ma il silenzio ad essere visto con sospetto.
Nel silenzio si ascolta,
nel silenzio si ragiona.
Il silenzio, come la neve,
non è noia, è gioia.
Dovrebbe nevicare più spesso.

(Font: http://www.poesieracconti.it/poesie/opera-83113 )

Val Boreca - Zerba


http://www.zerba.org/
Zerba (Zèrba in dialetto piacentino[2]) è un comune italiano di 94 abitanti della provincia di Piacenza, il più piccolo ed il più occidentale della Regione Emilia-Romagna.
È situato nell'alta val Trebbia, sull'Appennino ligure (di cui fa parte l'Appennino piacentino).
Il territorio comunale comprende tutto il versante settentrionale della val Boreca, dalla sorgente dell'omonimo torrente ad ovest, prossima al confine col Piemonte, sino al fiume Trebbia ad est. Fa eccezione una "propaggine" verso nord, che infiltrandosi nell'alta valle Staffora comprende la piccola frazione di Samboneto.
Oltre la cittadina consta di numerose frazioni sparse ed alcune molto popolate specie nei fine settimana e nel periodo estivo.
Una leggenda lega la fondazione del paese ad un gruppo di disertori cartaginesi che abbandonarono l'esercito di Annibale nel 218 a.C., ai tempi della Battaglia della Trebbia. Si dice che, per orientarsi, Annibale sia dovuto salire sul monte Lesima, un'antica mulattiera è ancora chiamata strada di Annibale. In base a ciò, la tradizione vorrebbe che il toponimo derivasse, o comunque avesse la stessa origine, di quello dell'isola nordafricana Djerba. Più probabilmente deriva da gerbo, ossia terreno coperto di sterpaglie, terreno incolto.
Il territorio dopo la conquista romana passa ai Longobardi ed al governo della potente Abbazia di San Colombano di Bobbio fondata nel 614 da San Colombano ed al successivo feudo monastico[3] e dopo il 1000 alla grande contea vescovile di Bobbio. Attualmente al santo irlandese vi una chiesa a lui dedicata nella frazione di Vesimo.
Come molti territori attigui fu poi concessa da Federico Barbarossa ai Malaspina nel 1164. Passò nel XIII secolo nel Marchesato di Pregola, nel XIV alle famiglie Pinotti e Pozzi, per tornare nel 1404 ai Malaspina fino alla soppressione napoleonica del feudalesimo.
Fino all'abolizione dei feudi imperiali era inserito nel contado di Ottone.
Nel 1801 il territorio è annesso assieme alla Liguria alla Francia napoleonica fino al 1814. Nel 1814 gli ex territori del contado di Ottone sono inseriti nella Provincia di Bobbio. Nel 1848 come parte della provincia di Bobbio passa dalla Liguria al Piemonte, nel 1859 entrò a far parte nel Circondario di Bobbio della nuova provincia di Pavia e quindi della Lombardia. Nel 1923, smembrato il circondario di Bobbio, passa alla provincia di Piacenza e quindi all'Emilia-Romagna.
 
Questo paese fa parte del territorio culturalmente omogeneo delle Quattro province (Alessandria, Genova, Pavia, Piacenza), caratterizzato da usi e costumi comuni e da un importante repertorio di musiche e balli molto antichi. Strumento principe di questa zona è il piffero appenninico che accompagnato dalla fisarmonica, e un tempo dalla müsa (cornamusa appenninica), guida le danze e anima le feste.

(Fonte: Wikipedia)